Affrontare la malattia oncologica: le risposte alle vostre domande

Martedì è uscito il TeaPost “Affrontare la malattia oncologica” scritto dalla dott.ssa Elena Pagani Bagliacca.

Oggi, vi propongo una seconda parte di questo articolo, tratta dalle vostre domande, poste su Instagram . Le abbiamo divise per tematica

Star vicino

Come star vicino alla migliore amica con nonno (con cui ha vissuto) malato, pur essendo distanti 300km?Come trovare le parole giuste?

 Non serve trovare le parole esatte, spesso basta esserci, rispettare ed accogliere il vissuto di chi sta soffrendo. Se questa tua amica ti cerca è perché ti sente presente. Continua ad esserci, pur nei limiti della distanza, e certamente sarai un sostegno prezioso.

Come star vicino a un malato oncologico?

Spesso il ruolo ed il peso, emotivo e pratico, di chi sta accanto ai malati viene sottovalutato. E’ difficile stare vicino a un proprio caro che sta attraversando la malattia, perché bisogna “tenere duro” per lui/lei e al contempo gestire le proprie paure e la propria sofferenza. Innanzitutto quindi, occorre legittimarsi a pensare che sia un momento difficile anche per voi. Da questo, potrete capire che non esiste modo migliore se non quello di esserci, nel modo in cui riuscite, continuando a dimostrare il vostro affetto e la vostra vicinanza, mantenendo il più possibile “normalità” all’interno della vostra relazione, con un po’ più di accortezza, sensibilità (e pazienza) in più nei momenti più difficili. 

Come star vicino al marito malato, quando io stessa sto sclerando?

Immagino sia molto complicato il periodo che stai vivendo. Puoi legittimarti a prendere degli spazi, tuoi, che servono per “ricaricare le batterie” e poter stare così accanto a tuo marito. Questi percorsi sono più simili a delle maratone, più che a corse di velocità: ognuno deve trovare il proprio equilibrio per mantenere il passo e poter così arrivare insieme al traguardo.

Come supportare questi pazienti? Sono infermiera

Il vostro ruolo è preziosissimo. I pazienti vedono in voi delle figure di riferimento, delle persone che vivono le loro sofferenze in prima linea. I miei pazienti spesso mi hanno raccontato dell’importanza di avere a fianco “persone umane” prima che “professionisti”, in grado di prendersi cura di loro come individui e non solo come “pazienti”.

Quando si sa che è terminale, dirlo alla persona? E quando ormai manca poco?

Questo è un tema complesso. Certamente, la comunicazione di un’eventuale prognosi infausta è un compito molto difficile che spetta innanzitutto ai curanti competenti. Sono loro a veicolare, con l’aiuto di psicologi, queste delicate comunicazioni. Quello che certamente un parente può fare è stare accanto al malato e vivere anche la fase terminale come un momento importante del percorso di cura, che ha i suoi bisogni e la sua dignità. 

Mia madre ha un tumore al polmone(4° stadio). Non accetta la prognosi. Come sostenerla?

Ognuno davanti a degli eventi angoscianti e difficili trova il suo modo per reagire e “stare in piedi”. Queste modalità dipendono certamente dal carattere ed unicità di ognuno ma anche dai cosiddetti “meccanismi di difesa”, sentimenti, pensieri o comportamenti, spesso inconsapevoli, che ognuno di noi mette in atto dinnanzi a eventi molto stressanti. Può essere che mamma abbia bisogno di “non vedere” la prognosi e mantenere una sorta di area “illusionale”, dove però depone la sua speranza e, di conseguenza, anche la sua motivazione a curarsi ogni giorno.

Qual è l’approccio migliore con questi pazienti?

Credo che con questi pazienti si debba innanzitutto essere se stessi, onesti e veri. Occorre certamente avere una delicatezza particolare per non urtare, anche involontariamente, la loro sensibilità, provata da paure ed angosce, ma non si devono indossare maschere né guardarli con occhi di compatimento (i miei pazienti mi hanno sempre riferito profonde irritazioni per chi li approcciava con l’atteggiamento da “poverini”). Ci tengo altresì a dire che, alle caratteristiche personali, per poter lavorare con questi pazienti, bisogna unire adeguate competenze e seguire iter professionali specifici.

Emozioni

Può un tumore al fegato far scaturire apatia negli anziani?

Non sono un medico, quindi non mi sento di dare risposte tecniche e consiglierei di chiedere ai curanti. Mi dai anche la possibilità di sottolineare una cosa: spesso non si chiede ai medici per timore di sembrare “sciocchi” o superficiali, o per vergogna. Assolutamente non sentitevi tali. I medici hanno bisogno delle vostre domande, quindi condividete tutti i vostri dubbi; non tenetevi dentro pensieri che possono trovare facilmente risposte ed alleviare magari possibili fonti di angoscia. Per provare però a rispondere almeno in parte alla domanda, certamente la condizione di malato di cancro ha un forte impatto psicologico sugli individui, e spesso può essere causa di abbassamento del tono dell’umore, sino a causare sindromi depressive.

E’ normale essere ancora frantumati, dopo tre anni, da una perdita (papà) troppo repentina per un brutto tumore ?

Perdere un padre è un dolore enorme, che lascia un vuoto incolmabile. Certamente se poi non si ha avuto il tempo necessario per metabolizzare quello che stava capitando è ancora più difficile. Al dolore, spesso, può unirsi anche tanta rabbia, per averlo perso così velocemente. Certamente se il vissuto è ancora così vivido potrebbe esserti utile un percorso di terapia, in cui puoi raccontare ed elaborare l’accaduto, questa volta prendendoti tutto il tempo necessario.

Perché si temono in continuazione le malattie e, di conseguenza, la morte?

Una malattia come il cancro, che non conosce età e genere, ti mette davanti alla realtà dei limiti, che non possono essere prevaricati. Il cancro infatti impone di fare i conti con i limiti fisici (come gli effetti collaterali delle terapie, esiti della chirurgia), psicologici, sociali (come le conseguenze sul clima famigliare o sul lavoro) e spirituali (il senso, ad esempio, della finitezza del tempo). Il limite estremo, quello per eccellenza, è proprio quello della morte, condizione con cui si è costretti a fare i conti, spesso in maniera inattesa (come nei casi di bambini, ragazzi o giovani adulti).

[Se può essere utile, avevamo parlato della paura della morte nel TeaPOst “Perché ho così paura della morte?“].

 Il cancro lo si vede sempre come qualcosa di lontano da sé, mai una possibilità. Cosa succede quando invece diventa reale? 

I miei pazienti mi hanno sempre descritto il momento della diagnosi come una doccia gelata. Quasi sempre, infatti, il cancro si presenta come condizione asintomatica, o con segnali che non farebbero mai presagire a una simile notizia. Per questo, quando viene comunicata la diagnosi, si assiste spesso a un vero e proprio stato di shock, in cui i pazienti sembrano perdere il contatto con la realtà, isolandosi in una condizione psicologica spesso caratterizzata da angoscia, solitudine e paura. Purtroppo i numeri del cancro parlano sempre più chiaro e non esiste fascia d’età che ne è protetta. Certamente, però, oggi il cancro è a tutti gli effetti una malattia curabile, in cui la scienza e la medicina stanno facendo ogni giorno importantissimi progressi.

Iter professionale

Per la certificazione in psiconcologia ci sono dei percorsi di studi e dei titoli specifici.

Si può prender visione dal sito della SIPO, Società Italiana di Psico-Oncologia.

Per poter lavorare in questo ambito, io posso dirvi la mia esperienza: sono psicologa, psicoterapeuta. Ho fatto tirocini post lauream presso servizi di psicologia della salute all’interno di ospedali; ho maturato diverse ore come volontaria e successivamente ho iniziato collaborazioni professionali all’interno di strutture in reparti oncologici.


About The Author

Alessia Romanazzi

Psicologa e psicoterapeuta. Aiuto le persone ad affrontare momenti di stress temporanei o prolungati. Insieme cercheremo la tua personalissima soluzione per superare il momento critico. Mi trovi in studio a Saronno e a Milano. Attraverso Skype in tutto il mondo!