“Ho l’ansia di rientrare nella routine post-vacanze: come posso fare?”.
Ormai lo sapete, parto sempre dal contestualizzare e poi passo a lanciare qualche sassolino sul “cosa fare”. Come possiamo definire cosa fare se prima non abbiamo messo a fuoco cosa ci agita e perché? Rimane un mistero, per me, come tutti quei siti e giornali possano vendere ricette di comportamento senza prima aver almeno ipotizzato quale possa essere il punto. Mi fiderei mai di un medico che, senza avermi visitato, mi appioppi una medicina? Personalmente no e con la psiche vale uguale.
Quindi partiamo da lì, prima di arrivare al cosa fare per affrontare l’ansia da rientro. Non ho ricette preconfezionate da scrivere, ma spunti di riflessioni che possono aiutare a mettere a fuoco il problema e, una volta compreso, a vivere la situazione in maniera differente.
Cos’è l’ansia da rientro?
Secondo me, quest’anno c’è da fare una doverosa distinzione: c’è una parte di ansia che si ha, quasi usualmente, al rientro dalle vacanze e c’è una parte – che forse non è ansia, ma stanchezza- che ha a che fare con l’anno trascorso e con la pandemia. Parto da quest’ultima, perché sull’ansia ho una riflessione, un sassolino più specifico da lanciare.
Il nostro stato d’animo al rientro con un anno e mezzo di pandemia sulle spalle
Questa pandemia ha messo a dura prova la nostra psiche. Ha acuito sintomi pre-esistenti e ha tirato fuori malesseri che erano lì in sordina, tenuti insieme con lo scotch e mantenuti in piedi “grazie” alle incombenze quotidiane. La pandemia ha lavorato lentamente sulla maggior parte di noi, se ci guardiamo indietro facciamo fatica a capire come si sia costruita questa stanchezza che invade corpo e mente, questa sensazione di esaurimento che ci fa sentire in difficoltà anche solo a programmare di fare le cose. Pensavamo che le vacanze bastassero per rigenerarci, per rimetterci in asse prima della ripartenza settembrina, invece no: siamo ancora stanchi, privi di forze e ci domandiamo come sia possibile tornare a immergerci nella quotidianità usuale. In gergo tecnico si parla di “Covid fatigue“, la quale contiene in sé una costellazione di stati d’animo e manifestazioni sintomatologiche che vanno dalla stanchezza, alla tristezza, passano per l’apatia e la sensazione di esaurimento delle forze e giungo a sindromi conclamate, in assonanza con attacchi di panico, ansia, stati depressivi e ossessivi.
La sindrome da rientro al netto della pandemia
Poi ci sono gli stati d’animo da rientro “classici”, quelli che campeggiano in noi indipendentemente dalla pandemia, quelli che molti di noi hanno ogni anno oppure che sorgono in alcune annate (mai casuali!). Qualcuno le ha dato anche un nome semi-ufficiale “post-vacation blues“. Non esiste nei manuali diagnostici, ma rende bene l’idea: avviene dopo un periodo di pausa dalle attività scolastico-lavorative, presumibilmente quel periodo in cui si rientra nelle routine. Può portare con sé una rosa di sintomi psicofisici che vanno dall’ansietta alla vera e propria ansia agli attacchi di panico, sintomi depressivi, profonda tristezza/malinconia e sconforto, disturbi del sonno e della concentrazione… .
In linea di massina, i sintomi della sindrome da rientro non durano a lungo. Tendono a occupare lo spazio pre-rientro e una/due settimane dopo essere tornati, poi smettono di farsi sentire. Forse perché a quel punto siamo completamente invasi dalle routine e dagli impegni quotidiani -_-
A parte gli scherzi, la sindrome da rientro è un po’ come la sindrome della capanna che abbiamo imparato a conoscere durante il lockdown della primavera 2020: l’ansia di rientrare dopo mesi riparati dal traffico, dagli obblighi sociali, dal tran tran quotidiano… . E’ un disturbo dell’adattamento, per cui faremo un po’ fatica a rientrare nei panni quotidiani, poi con il tempo ci riabitueremo, soprattutto se riusciremo a farlo a piccoli passi (ci arrivo tra poco).
Si tratta, però, di un altro paio di maniche, per le persone che già soffrono di alcuni disturbi (ad esempio, di attacchi di panico), perché in quel caso il rientro diventa un momento che “rilancia” i sintomi, rinforzando una situazione pre-esistente.
Perchè si presenta questa sindrome da rientro dalle vacanze?
Come spesso accade, nel determinare le nostre “faccende psicologiche” si mescolano fattori oggettivi e soggettivi.
Tra gli oggettivi, si pone il fatto che la maggior parte degli italiani va in vacanza ad agosto. Verso luglio tutto sembra fermarsi e “ci pensiamo a settembre”. Questo significa che settembre è già di per sé carico di impegni, di cose da fare accumulate, di lavoro arretrato che è lì che ci aspetta. Vale anche per i liberi professionisti, ovviamente. A ciò si aggiunge il rientro nelle routine, spesso strettissime e che richiedono un passo serrato, dopo un periodo mediamente libero. E’ quello che si prova, più in piccolo, ogni week-end: dopo un periodo di tempo più libero, in cui siamo noi a definire il passo, ecco che gli orologi tornano al polso come fossero manette.
A questi si aggiungono delle ragioni soggettive, che hanno a che fare con noi e con la nostra storia. E qui forse la dicitura “Ansia da rientro” non basta più, può voler dire tutto e niente: ha a che fare con il lavoro? Con gli esami che non riesco a dare? Con le routine familiari? Perché mi sento così in ansia?
Abbiamo necessità di mettere a fuoco quello che ci accade. Possiamo provare a farlo mettendo a fuoco i pensieri che ci frullano dentro e che, una volta individuati, possono dare forma a quella sensazione angosciosa che anima la nostra pancia quando si affaccia l’idea di dover rientrare.
Colleghiamoci alla pancia, alla sensazione di angoscia. Quali immagini scattano nella nostra mente?
Quali fanno giungere l’angoscia a un picco?
Possiamo aiutarci anche grazie al ricordo dell’anno passato:
Cos’ha reso poi effettivamente angoscioso il rientro?
Cosa ho mal tollerato nonostante il passare dei giorni?
E qui arrivo con la mia riflessione, con il sassolino di cui vi parlavo all’inizio di questo TeaPost. Ci raccontano e ci raccontiamo che la sindrome da rientro ha a che fare con gli orologi che rimettiamo al polso al rientro dalle vacanze. Nel corso del periodo di ferie siamo liberi di gestire il nostro tempo, al rientro il nostro orologio ci viene messo al polso dall’esterno: sembra essere la realtà esterna a gestirci e a gestire ciò che dobbiamo fare. Ecco, secondo me quell’orologio è metaforico, in particolare è metafora del “dover essere”. E, come spesso faccio, chiamo in causa lo scontro tra due frecce, da cui l’ansia deriva.
La leggerei in due direzioni:
- Come sento che dovrebbe essere il mio rientro dalle vacanze?
Siamo sicuri che debba essere per forza allegro e spensierato? Forse ci sta e posso concedermi un po’ di tristezza, di non voglia, di amarezza per aver abbandonato un momento di libertà per dover rientrare nella realtà quotidiana, tra lavoro/studio e impegni che non scelgo solo io. - Il secondo punto è proprio su questo: viviamo tutto come fosse una performance e le nostre frecce interiori, quelle che tiro sempre in ballo quando parlo di ansia, si scontrano alla grande. Diciamocelo, anche la narrazione delle vacanze è diventata un po’ così: devono essere belle, instagrammabili, spensierate, fighissime. Figurarsi quanta ansia da prestazione sentiamo addosso al rientro: quel “devi fare” ci piomba addosso e spazza via il “vorrei fare”, i bisogni. Come spesso accade, ci sentiamo in difficoltà nel tenere in equilibrio le due frecce. “Se devo lavorare/studiare” non ci sarà più spazio per le colazioni lente/per l’aperitivo/per la gita spensierata.
Forse il punto sta qui: non sul rientro in sé, ma su ciò che sentiamo di dover essere rientrando e su quanti bisogni verranno soffocati per rientrare in panni che ci vanno decisamente stretti. Dobbiamo imparare a prendere abiti della nostra taglia, che stiano bene a noi, prima ancora di calarceli addosso solo perché vanno di moda.
Sindrome da rientro: cosa fare?
Come sempre in questo periodo i giornali e i siti internet abbondano di “5 consigli infallibili per affrontare il rientro dalle vacanze”. Come sempre io storco il naso e mi domando se per qualcuno abbiano mai davvero funzionato.
Non esiste davvero una ricetta per affrontare quello che ci scatena ansia. La “soluzione” si costruisce sulla base delle nostre motivazioni. L’angoscia di chi deve tornare in ufficio con un capo tiranno è diversa dall’ansia che si scatena in chi si sente bloccato negli studi e vede settembre come un mese che gli ricorderà i propri fallimenti.
Un consiglio – se così possiamo chiamarlo- che vale universalmente è quello della politica dei piccoli passi. Su quanto debbano essere piccoli quei passi e quale impronta debbano lasciare ci può mettere il becco solo il diretto interessato. Siamo noi a definire il passo, per quanto possibile e nei limiti della realtà esterna. Qualche esempio? Può essere una buona idea tornare dalle vacanze qualche giorno prima della fine delle ferie (a meno che non si disponga di un’unica settimana), cosa che consente di rientrare nei propri panni senza ritrovarsi direttamente scaraventati nell’usuale traffico quotidiano. Se possibile – e lo so che non sempre lo è- sarebbe utile mantenere questa politica anche con il rientro al lavoro: non tornare “a bomba” con le attività da svolgere, ma partire con i tempi lenti, che conservino ancora un po’ il gusto della vacanza.
A questo proposito, cosa è possibile portarci dietro del clima vacanziero? E cosa di quello che è possibile ci piacerebbe portarci dietro? Ecco, se la risposta è “la vista mare”, no, non è troppo modificabile (non in tempi brevi, almeno!). Ma qualche piccola tip forse sì: le colazioni lente, un certo relax la sera, certi tempi per sé. Sarà ovviamente diverso, andrà organizzato tenendo conto degli impegni, ma qualcosa possiamo mantenere. Anche qui, il punto è mettersi in ascolto dei bisogni.
Mi vengono in mente altre due cose che potrebbero essere utili: la prima è di iniziare a pensare al futuro. Il futuro, in quest’epoca in cui si dice che dobbiamo imparare a vivere il presente, è sempre un po’ bistrattato. In realtà, ricopre un’importanza enorme: il futuro è vitale, proprio nel senso che è fatto di vita, di programmazione delle cose che potremo e vorremo fare. Possiamo programmare le prossime vacanze o anche solo iniziare a sognarle. Inoltre, possiamo iniziare a pensare a qualche cosa che ci farebbe piacere fare prossimamente: visitare quel posto vicino a casa, che si rimanda sempre “perché tanto è vicino”, mangiare in quel ristorante, fare un corso, iscrivervi a quel gruppo di trekking che avevate visto in un gruppo Facebook tempo fa. Fate Vobis, ma non fatevi sfuggire il futuro che è prezioso.
Chiedetevi cosa potete e volete eliminare. Nelle nostre routine abbiamo inseriti impegni che sono oggettivamente inderogabili, ma spesso c’è qualcosa “di troppo” inserito perché abbiamo un alto senso del dovere, ma in realtà è superfluo. Provate a capire cosa se sia presente anche da voi e se sia possibile apportare qualche modifica.
Fatemi sapere come va il vostro rientro! =)
E se anche voi siete in fissa con le liste dei buoni propositi prima delle ripartenze, provate a dare un’occhiata a questa diretta “Buoni propositi per il nuovo anno“.