Ho impiegato tempi biblici a dare un titolo a questo TeaPost e non sono pienamente soddisfatta, perché non credo renda bene l’idea di quello di cui parleremo oggi. Non vi racconterò di come la menopausa possa impattare sul benessere mentale delle donne, ma di una specifica fase di vita e delle sfide che ci si trova naturalmente ad affrontare in questa fase.
Uso il termine “menopausa”, ma mentre scrivo penso a persone di ogni genere.
Nope! C’è un motivo: menopausa ha a che fare con la fine della generatività, ha a che fare in senso etimologico con la cessazione, con la fine. Utilizziamo, ovviamente, il termine “menopausa” per indicare la fine del ciclo mestruale, ma credo che sia buona metafora per descrivere quanto accade in questa delicata fase di vita. La maggior parte delle persone intorno ai 50 anni che si rivolge a me sta facendo i conti con la fine della generatività intesa non tanto come impossibilità di fare figli, quanto come paura di non poter più generare alcun progetto.
Ora faccio un passetto indietro, così capiamo meglio.
Ogni fase di vita ha un suo compito: qual è quello di 50 anni?
Immaginiamo la vita come fosse un videogioco a livelli. Io immagino sempre SuperMario, perché ha anche i mostri finali e rendono ancora meglio l’idea.
Ogni livello corrisponde a una fascia d’età e ha una sua missione:
- Durante l’infanzia hanno a che fare con lo sviluppo di abilità motorie, cognitive e sociali;
- In adolescenza il compito è quello di sviluppare una maggior autonomia dall’ambiente familiare e trovare un equilibrio tra l’essere dipendenti e l’essere autonomi;
- Nella giovane età adulta e nel corso dell’età adulta (26-40 anni circa) il compito è quello di generare (non necessariamente figli, ma creare una famiglia o comunque un ambiente separato dalla famiglia di origine, mantenersi da soli, investire nel lavoro…);
- Intorno ai 50-60 anni il compito è quello di fare un bilancio di quanto si è riusciti a realizzare nella vita, facendo i conti con i limiti che la vita ci ha posto e ci porrà di lì in avanti.
Quella dei 50-60 anni è una fascia di età in cui si lavora sul tema dell’accettazione: accetto quanto ho realizzato sin qui? Cos’altro avrei voluto realizzare e non sono riuscito a realizzare? Riesco a tollerare il fatto di non essere riuscito a realizzarlo?
Un bilancio positivo non corrisponde a sole emozioni positive, bensì alla capacità di tollerare le diverse emozioni che fanno capolino: la felicità e l’orgoglio per i progetti realizzati, la tristezza e la rabbia per i progetti che sono rimasti nel cassetto. Quando il bilancio va storto, ossia quando è intollerabile pensarlo, scatta la disperazione.
La paura è quella di non avere più tempo per realizzare i propri progetti, che le possibilità nella vita si chiudano qui, quel che fatto è fatto e tanti cari saluti.
50 anni e paura di non poter più generare
Come dicevo inizialmente, non ha tanto a che fare con l’aver avuto o meno dei figli, quanto con la paura di non poter più generare nuovi progetti. In genere, in terapia, i pazienti si dividono in due grandi categorie da questo punto di vista:
- Chi ha avuto una vita molto piena e goduta e ha paura che da qui in avanti non potrà più continuare a generare cose
- Chi ha avuto una vita molto sacrificata e teme di non aver più tempo per recuperare, per potersi finalmente dedicare ai propri progetti.
Pur partendo da basi diverse, l’annosa questione sui cui i miei pazienti 50-60enni si arrovellano è questa: quanti e quali limiti mi sta ponendo la vita? Cosa posso ancora realizzare? Fanno tutti i conti con la paura di perdere la propria vitalità.
Occhio che il termine “vitalità” non è casuale, perché si contrappone con la paura della morte. La morte qui è da intendere in maniera duplice: da un lato la morte fisica, che ovviamente fa molta paura, ma soprattutto la morte metaforica. E’ una morte funzionale quella di cui si ha, in genere, paura in questa fascia d’età:
- La fine della mia identità di lavoratore (si inizia a pensare alla pensione)
- La fine di una fase del ciclo della famiglia (se si hanno figli, in genere questa è la fase in cui lasciano il nido)
- La fine del corpo “giovane e scattante” (perché in questa fase inizia a far sentire alcuni limiti e acciacchi)
- La fine dei progetti, perché sembra che siano possibili solo prima dei 40 anni (spoiler: ce l’hanno messo in testa, ma non é esattamente così!).
Poter progettare è vitale, perché implica dare vita a qualcosa e immaginare vita davanti a sé. Non solo: progettare implica dare vita alla propria identità, generare una nuova fase di vita personale e familiare, significa tener conto di alcuni limiti e capire cosa si può comunque realizzare.
Alcune persone hanno rimpianti fortissimi, alcune riescono a vivere solo nel passato in costante stato di saudade (una nostalgia malinconica), alcune sviluppano ansia e attacchi di panico o stati depressivi sentendo che la vita sia finita così. Questi sono i casi in cui può essere importante iniziare un percorso di terapia.
Come si lavora in terapia?
In terapia, arrivano spesso persone che stanno facendo fatica ad affrontare questa fase. Spesso, la terapia prende il via dopo un limite che la vita ha posto nella vita della persona, il quale sembra segnare la “menopausa”, ossia la fine della possibilità di generare: la pensione, la morte di un caro amico, un demansionamento, i figli che lasciano il nido… .
In terapia, in genere, si riprende in mano il bilancio di vita della persona, raccogliendo la sua storia di vita e ripercorrendola insieme. Si indagano le speranze, i rimorsi e soprattutto i rimpianti, i sogni lasciati nel cassetto. Ci si legittima la possibilità di gioire ed essere orgogliosi per ciò che è stato realizzato e si accolgono rabbie e dolori per ciò che non è andato secondo i piani.
Gradualmente, si fa spazio a quelli che sono i bisogni attuali, evidenziando la possibilità che siano diversi rispetto a quelli di un tempo: a 30-40 anni volevo realizzare queste cose qui, ora invece cosa desidero? Di cosa sento di avere bisogno?
Talvolta, ci si concentra moltissimo su ciò che si è perso e sui rimpianti e non ci si rende conto che oggi i propri bisogni sono cambiati, che quella faccenda non realizzata faceva star male la nostra persona a 30-40 anni, ma oggi abbiamo bisogno di cose diverse. In altri casi, invece, ci si rende conto che si ha ancora il desiderio di realizzare quella cosa lì e allora si lavora per capire quanto sia realizzabile oggi; talvolta, è ben più realizzabile oggi che allora, in altri casi la vita ha posto così tanti limiti da non lasciare più spazio per la realizzazione di quel progetto (esempio: diventare un medico o un astronauta, avere tre figli…). Bisogna allora lavora prima sulla tristezza e poi per mettere a fuoco cosa, al netto dei limiti attuali, sia realizzabile (esempio: posso seguire dei corsi di medicina per piacere, posso diventare soccorritore in Croce Rossa, posso fare volontariato in pediatria o fare il baby-sitter…).
Molto spesso, si tratta di percorsi che vedono la luce in fondo al tunnel quando si scopre che si può essere vitali e fare progetti a qualunque età e che la “menopausa”, intesa come cessazione della possibilità di generare progetti, non esiste.
Se vi interessa questo tema, lo riprendiamo anche in questa puntata del Podcast “Tv Therapy”, partendo dalla mitica signora in giallo e passando per “Grace&Frankie” (mitiche anche loro!).
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