Disturbi di personalità: perché arrivano? Si guarisce?

Disturbi di personalità: perché arrivano? Si guarisce?

Il “che cosa sono i disturbi di personalità” avevamo già iniziato a delinearlo in questo articolo. Quello che mi premeva era far capire che non siano una cosa così lontana e astrusa, bensì è come se ci fosse una linea della personalità che va dalle “semplici” caratteristiche, passa attraverso i tratti e giunge al disturbo vero e proprio. I disturbi di personalità altro non sono che una modalità estrema e rigida di manifestare alcune caratteristiche, paure, stili relazionali… . Essi influenzano il modo in cui la persona pensa a sé stessa e alle proprie relazioni con gli altri. E’ come avere delle speciali lenti che deformano quello che stiamo osservando, pensando, facendo.

Oggi proviamo a rispondere ad alcune domande frequenti relative ai disturbi di personalità e mettiamo a fuoco il: perché arrivano? Si può guarire?

Perché arriva un disturbo di personalità?

Un disturbo di personalità è una struttura, simile a una stretta armatura, che ci si mette addosso (inconsapevolmente, of course) per ridurre l’angoscia. Quale angoscia?

Vari tipi di angoscia a seconda del tipo di disturbo di personalità. Vi porto qualche esempio:

  • L’angoscia di non valere, non essere visti ed essere rifiutati (es. nel disturbo narcisistico)
  • L’angoscia d’abbandono (es. disturbo borderline e dipendente)
  • L’angoscia di essere attaccati (es. disturbo paranoide e antisociale)

L’angoscia è più difficile da tollerare rispetto all’ansia, perché si tratta di un’ansia senza forma. E’ qualcosa che sentiamo, ma a cui non riusciamo a dare dei contorni, non riusciamo a fare previsioni in merito, bensì rimane come una matassa informe che è difficile anche solo da pensare. Si attiva quando, realmente o sulla base di una arbitraria percezione soggettiva, viene toccato uno dei nostri tasti dolenti, una delle nostre paure profonde.

Come vedete dagli esempi sopra, si tratta di paure che tutti noi possiamo conoscere, ma il modo in cui viviamo quelle paure e la modalità attraverso la quale reagiamo ad essere è diversa a seconda della nostra struttura di personalità. Posso avere una paura di non valere o di essere abbandonato e “mettere su” un sintomo come l’attacco di panico oppure un disturbo di personalità. Sono molto diversi, ovviamente, e in questo video avevo iniziato narrarvi il perché e come i disturbi di personalità costituiscano una sorta di seconda pelle difficile da distinguere dalla persona stessa (in gergo, sono egosintonici).

Perché alcune persone sviluppano un disturbo di personalità?

Lo premetto: mi è impossibile essere esaustiva. Ci sono libri su libri e articoli su articoli relativi all’argomento. Soprattutto, i “Disturbi di personalità” costituiscono un insieme di vari disturbi e ognuno di essi ha tendenzialmente le sue origini. Non solo: ogni disturbo di personalità calza su una persona che ha una personalissima storia e, di conseguenza, personalissime motivazioni per cui “indossa” un disturbo di personalità e soggettivi modi in cui quei disturbi si esprimono.

Il vero “perché”, insomma, lo si mette a fuoco in terapia ed è personale, basato sulla propria storia di vita.

Qui iniziamo quantomeno a barcamenarci tra i fattori che possono rappresentare un fertile terreno per lo sviluppo di un disturbo di personalità.

Uso spesso la metafora della bomba e della miccia, che vale per i disturbi di personalità, ma in fondo per qualunque altro sintomo o disturbo psicologico.

Ogni disturbo, inclusi i disturbi di personalità, ha origine multifattoriale: contano i fattori genetici e biologici e contano i fattori ambientali. Sui fattori genetici e biologici possiamo fare poco, li abbiamo sin dalla nascita. I fattori ambientali sono gli eventi e le relazioni in cui incappiamo nel corso della vita; alcuni rappresentano dei fattori di rischio, ossia terreno fertile per lo sviluppo del disturbo, altri rappresentano dei fattori protettivi, ossia aiutano a evitare che quel disturbo venga fuori o proteggono da forme “molto più disturbanti”.

  • La predisposizione genetica è la bomba. E’ possibile che dentro di noi ci siamo moltissimi ordigni relativi a diversi disturbi;
  • I fattori ambientali di rischio sono la miccia, ossia ciò che può far esplodere la bomba, facendo emergere il disturbo;
  • I fattori ambientali protettivi sono l’acqua che, versata sulla miccia, evita che questa faccia esplodere la bomba. A seconda della quantità di acqua potremo evitare che la bomba esploda del tutto o magari potremo limitare il danno e magari virare su disturbi meno gravi o più strutturati.

Cosa significa?

  • Se non c’è la bomba, la predisposizione genetica per quel disturbo, esso non potrà mai venir fuori, qualunque sia il fattore ambientale. E’ uno dei motivi per cui, dinanzi a eventi traumatici simili (violenze, trascuratezza, ripetuta storia abbandonica…), alcuni sviluppano il disturbo A, io sviluppo il disturbo B e il mio vicino di casa prova molta sofferenza emotiva ma non sviluppa disturbi conclamati.
  • Se c’è la bomba, ma non c’è la miccia (eventi avversi), quel disturbo non può svilupparsi. Uscendo dalla metafora, posso avere tutta la predisposizione genetica del mondo, ma senza eventi traumatici quel disturbo non si sviluppa (il vero problema sta nel fatto che avere una predisposizione genetica implica che forse anche i miei familiari hanno predisposizioni analoghe, magari hanno anche sviluppato quel disturbo e, se non curato opportunamente, possono espormi a un ambiente in qualche modo traumatico ed ecco i fattori ambientali avversi).
  • Se ci sono sia la bomba sia la miccia, i fattori protettivi possono fare la differenza nello spegnere la miccia o nell’evitare che il disturbo sia grave e pervasivo. Qualche esempio di fattore protettivo: avere altre figure che si prendono cura di noi opportunamente (un nonno, un’allenatrice, un fratello che ci protegge dalle violenze familiari…).
Riassumendo: perché arriva un disturbo di personalità?

Ci deve essere una predisposizione genetica, ma da sola non basta, occorre la presenza di fattori ambientali, di eventi avversi e in qualche modo traumatici che impattano sulla persona generando un’angoscia tale da rendere necessaria un’armatura difensiva, il disturbo appunto.

Si può guarire dai disturbi di personalità?

Ci sarebbero 10000 premesse da fare e 800 postille da mettere, ma partiamo dal fulcro della risposta e come sempre tiriamo le fila poi: sì, si può guarire.

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Ora vai con postille e premesse, dai!
1. La parola guarire, per quanto riguarda i disturbi di personalità, è fuorviante.

Sarebbe più opportuno utilizzare il termine “recovery”. Non è per confondere le idee, ma guarire dà l’idea di qualcosa di “on-off”, un giorno c’è e un giorno non c’è più. Recovery indica un percorso lungo il quale si recupera un soddisfacente livello della qualità di vita. Spesso, i criteri che definiscono il disturbo (prendendo come riferimento il DSM-5) vengono meno e la persona non ha più quella diagnosi. E’ possibile, tuttavia, che rimanga una vulnerabilità a certi temi e permangano alcune difficoltà, pur molto alleviate o più nell’ordine delle caratteristiche o del tratto della personalità, anziché del disturbo vero e proprio.

ESEMPIO: Significa che se soffro di disturbo borderline di personalità (lo prendo a titolo d’esempio perché è forse il disturbo per cui il percorso di recovery è stato più studiato) inizierò il mio percorso con una fortissima impulsività e nel momento in cui sento un’emozione, essa è così dirompente che passo direttamente all’azione senza poterci pensare; spesso quelle emozioni sono dirompenti quando toccano temi caldi per chi soffre di questo disturbo, tipo l’angoscia d’abbandono. Le azioni impulsive possono essere le più disparate: posso tagliarmi (autolesionismo, in gergo), posso prendere la macchina e andare così veloce da rischiare un incidente, posso aggredire verbalmente il mio compagno o posso mettermi sotto le coperte in uno stato simil-depressivo. Lungo il percorso di recovery questa persona sviluppa una capacità di “metterci in mezzo il pensiero“, quindi inizia a diventare consapevole di quello che sta accadendo, si rende conto che parte impulsivamente e perché lo fa e magari inizia anche a mettere in atto dei comportamenti che prevengano le conseguenze emotive e pratiche di quel comportamento impulsivo (in gergo tecnico, il comportamento non pensato si chiama agito). Ci si lavora e si inizia a sostituire, a questo punto, i comportamenti impulsivi con altri comportamenti più funzionali e utili, che “fanno bene anziché ferire sé stessi e/o gli altri”(tipo: istruisco il mio partner sul fatto che in alcuni momenti annuso minacce di abbandono dove non ci sono, pensiamo insieme a come gestire quelle crisi, imparo ad affidarmi a lui anziché urlargli contro…). Capite bene che alla fine quella persona non ha più il disturbo come si presentava inizialmente, se tutto va bene nemmeno è più possibile fare diagnosi di disturbo borderline di personalità. Magari rimane il timore, la paura dell’abbandono, ma non è più angoscia (ed è già “tanta roba”!!!), non ci si sente più morire quando si pensa che gli altri ci stiano abbandonando, magari nemmeno mi convinco più che ogni singola azione nasconda un possibile abbandono e in ogni caso so agire in maniera diversa, perchè so di avere le risorse per cavarmela da solo o per chiedere aiuto. Questo porta con sé, a catena, anche vissuti emotivi diversi in me e in chi mi sta attorno e un maggior benessere generale.

2. Ciò che vale in generale può non valere per me.

Ogni percorso, di vita e di terapia, è a sé stante. Il mio percorso di recovery, pur partendo da uno stesso sintomo, è diverso da quello del mio vicino di casa, lavoriamo su aspetti diversi di noi e arriviamo a diversi modi di stare bene. Qualcuno, per varie ragioni, arriva a stare bene, ma non benissimo. Qualcun altro abbandona una terapia dopo l’altra (drop-out della terapia, in gergo tecnico) e il disturbo diventa “ancora più cronico” e doloroso. Qualcuno non riesce a fare un percorso di recovery a 20 anni, ma a 40 sì… . Insomma, ogni percorso è davvero soggettivo.

3. Alcuni disturbi di personalità si prestano meno, per loro caratteristica, a una guarigione.

Non so se questo punto abbia davvero senso: una volta spiegato il concetto di recovery, va da sé che ognuno ha il proprio percorso e i propri “punti di arrivo”. Ci sono, tuttavia, disturbi di personalità (in particolar modo, alcune forme di disturbo antisociale, alcune forme di disturbo narcisistico e alcune forme di disturbo schizoide e schizotipico) che faticano a creare, per loro natura, quella relazione terapeutica utile a fare un percorso di recovery. Non ci si fida dell’Altro, non si riesce a creare un’alleanza, ogni tentativo di aiuto viene usato per trarre vantaggio personale (disfunzionale) oppure ci sono resistenze così alte (sempre l’angoscia) per cui non si riesce a capitalizzare il percorso di cura.

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Alessia Romanazzi

Psicologa e psicoterapeuta. Aiuto le persone ad affrontare momenti di stress temporanei o prolungati. Insieme cercheremo la tua personalissima soluzione per superare il momento critico. Mi trovi in studio a Saronno e a Milano. Attraverso Skype in tutto il mondo!