La paura dell’abbandono: cos’è, perché, cosa fare

paura dell'abbandono

Parto subito dicendo che ho passato davanti a questa riga bianca un sacco di tempo. Già, perché la paura dell’abbandono è diffusissima, ma definirla è decisamente meno semplice, contenendo infinite sfumature sottilissime.

In generale, la paura dell’abbandono è ben più della paura di rimanere da soli: è la paura di PERDERE una o più figure amate. Sotto la paura dell’abbandono, poi, ci sono moltissime sfumature dicevamo: la paura di essere rifiutati, la paura di rimanere da soli, la paura di non essere considerati …

Come si manifesta la paura dell’abbandono?

La prima immagine che ci viene in mente, quando pensiamo a una persona che soffre di paura dell’abbandono è fatta di ansia esplicita, forte gelosia, tentativi di controllare l’altra persona. Dei pulcini sperduti, insomma.

Vero, è possibile, ma non tutti la manifestano così.

Ci sono persone che mostrano esattamente il contrario; in gergo tecnico si parla di controfobici e controdipendenti, se vogliamo farla semplice potremmo dire che sono persone che “ridono in faccia alle proprie paure” fingendo che non gli appartengano (“Non ho bisogno di nessuno, sto benissimo da solo. Ah se se ne va mi fa un favore!“).

Altro modo in cui si manifesta, è con i blocchi: in una certa fase di vita (laurea, andare a vivere da soli, affrontare il lavoro…), anziché andare avanti come ci si aspetterebbe, ci si inchioda lì, senza apparente motivo. In alcuni casi, quel motivo ha a che fare con il fatto che, se andiamo avanti, “perdiamo” le persone care o la possibilità che loro si prendano cura di noi.

Perché si ha paura dell’abbandono?

In minima parte, tutti noi abbiamo paura dell’abbandono e temiamo di perdere le persone a cui vogliamo bene. Finché questa paura non sfocia in ansie intense e costanti, tutto nella norma. Il motivo è legato alla natura dell’essere umano, che è un animale sociale; questa paura è naturalmente molto forte nel corso dell’infanzia, perché i bambini non sono ancora in grado di cavarsela da soli (spoiler: la paura dell’abbandono è strettamente connessa al senso di sicurezza), poi diminuisce man mano che si sviluppano tutta una serie di strumenti e di risorse per affrontare il mondo.

Perché allora alcune persone hanno una paura dell’abbandono più forte?

Ci sono, ovviamente, moltissime cause, alcune legate strettamente alla propria storia personale. Vediamone insieme qualcuna per avere qualche spunto:

  • Perdite/lutti/separazioni da figure di attaccamento nella primissima infanzia, quando ancora non si parla o è difficile ricevere adeguate spiegazioni;
  • Lunghi periodi di ospedalizzazione (propri o delle figure di attaccamento), soprattutto se avvengono nel periodo precedente ai 2-3 anni, periodo in cui non è possibile dare vere e proprie spiegazioni, ma soprattutto, è il periodo in cui non si è ancora costruita la costanza dell’oggetto, per cui se una persona scompare ha smesso di esistere;
  • Malattia delle figure di attaccamento, in particolare se grave e prolungata nel tempo perché rimane addosso la sensazione che è possibile perdere le figure care da un momento all’altro;
  • Figure di attaccamento “imprevedibili”, ossia che non davano sempre la certezza di essere emotivamente presenti (magari garantivano le cure di base, come il cibo, ma erano presente un po’ sì e po’ di no, tanto che il figlio non ha potuto costruirsi uno schema del fatto che “se faccio questo, il mio genitore farà quest’altro”).
In linea di massima, si cresce con questi schemi:
  • SCHEMA DELL’ALTRO: non è detto che sarà presente quando avrò bisogno.
  • SCHEMA DI SE’: non sono in grado di cavarmela da solo (a volte coperto da un: posso solo cavarmela da solo/devo arrangiarmi).

Come dicevamo, la paura dell’abbandono affonda le radici nel corso dell’infanzia e ha a che fare con il senso di sicurezza, intesa come sicurezza nelle proprie risorse (perché sento di non potermela cavare da solo, perché ho dovuto imparare a cavarmela da solo prima del previsto…) e fiducia nel fatto che gli altri ci saranno se avremo bisogno.

Come affrontare la paura dell’abbandono?

In generale, è utile un lavoro su di sé. Vi racconto le parti su cui in genere si lavora in terapia, per darvi qualche spunto di riflessione:

  • Ascoltare le proprie paure. La prima cosa è diventare consapevoli. Bisogna rendersi conto che tutti quei comportamenti che mettiamo in atto (ansiosi o controfobici) hanno un nome: paura dell’abbandono. Già su questo passaggio si spendono moltissime ore di lavoro, perché le persone non tollerano molto guardare in faccia questa paura, che fa sentire così pulcini spauriti e vulnerabili (come dar loro torto?!)
  • Linea del tempo. Questo è uno strumento che uso con tutti i pazienti, qualunque sia il motivo per cui si rivolgono a me. E’ una linea su cui chiedo di inserire, in ordine cronologico, tutti gli eventi importanti della propria vita. Ripercorrere la propria storia, vederla nero su bianco e capire quali siano i nodi più significativi ci aiuta a comprendere meglio anche il nodo attuale (spesso, c’è un sottile filo conduttore, che spiega come il problema attuale si sia costruito).
  • Differenza tra ora e allora. A volte ripetiamo continuamente uno stesso schema e non ci accorgiamo che le circostanze sono cambiate: siamo più grandi, abbiamo a che fare con persone diverse, abbiamo maggiori risorse nella nostra cassettina degli attrezzi. Questo è molto naturale, perché se una paura è stata forte rimaniamo inchiodati lì. Il punto non è dimenticarsi di quella paura, ma di prendersene cura in maniera differente.
Che ne dite? Come ve la cavate voi con la paura dell’abbandono?
About The Author

Alessia Romanazzi

Psicologa e psicoterapeuta. Aiuto le persone ad affrontare momenti di stress temporanei o prolungati. Insieme cercheremo la tua personalissima soluzione per superare il momento critico. Mi trovi in studio a Saronno e a Milano. Attraverso Skype in tutto il mondo!