PREMESSA: io parlo spesso di fame nervosa, ma come sapete il problema non è la fame nervosa che viene ogni tanto. Il problema si pone solo quando la fame nervosa diviene troppo frequente e risulta essere l’unico modo per gestire le emozioni. In particolare, quando la fame nervosa prende la forma del Binge Eating Disorder (BED, sindrome da alimentazione incontrollata).
Guarire dalla fame nervosa: quali sono i tempi?
Inutile girarci troppo attorno: i tempi per “guarire” dalla fame nervosa sono lunghi. Punto. Se per problemi come ansia e attacchi di panico i tempi sono abbastanza brevi (la terapia ha durata variabile, ma i primi risultati si vedono, in genere, entro le 10 sedute), per i problemi alimentari i tempi sono lunghi e difficilmente prevedibili a priori. Non intendo rimanere 15 anni in terapia, ma in genere si va ben oltre l’anno.
Questo è, spesso, un problema, perché le persone che soffrono di fame nervosa hanno spesso una struttura di personalità che, in genere, vede:
- La tendenza a vedere il mondo in modalità “bianco o nero” “tutto o niente”. Pensiamo, ad esempio, a quando si affronta la dieta: o la seguo benissimo e senza sgarri oppure lascio perdere e tendo alle abbuffate.
- La scarsa tolleranza alla frustrazione. Pur trattandosi di persone che si danno moltissimo da fare e sono molto improntate sul dovere, tollerano poco le attese e i tempi vuoti e lunghi. Spesso, non lo danno a vedere, sembrano pazienti, ma sono proprio i momenti di frustrazione a scatenare grandi abbuffate e smangiucchiamenti.
- L’ambivalenza verso la dipendenza e l’aver bisogno degli altri. Si tratta, infatti, di persone che sono abituate a cavarsela da sole e l’idea di avere una persona a cui devono affidarsi (il terapeuta) è, in genere, molto difficile da tollerare.
Perché i tempi per “guarire” dalla fame nervosa sono così lunghi?
I tempi per affrontare il problema della fame nervosa e del Binge Eating Disorder sono lunghetti perché si tratta di dinamiche abbastanza nascoste e poco consapevoli.
Come ci siamo detti più volte, il problema della fame nervosa ha a che fare con una difficoltà a fare i conti con le proprie emozioni e con i propri bisogni. La cosa difficile è che queste emozioni e questi bisogni sembrano essere davvero molto nascosti. Quando domandiamo alla persona: “Cos’hai provato poco prima dell’abbuffata? Era una giornata particolare?” in genere rispondono che era tutto come al solito.
Non è che non sentano totalmente emozioni eh? Anzi! Però, in molti casi le emozioni più vere rimangono nascoste, non possono concedersele. Si sentono forte e chiaro il senso di colpa e la vergogna dopo l’abbuffata, ma quello che è accaduto prima è molto sfumato e privo di senso.
Allora il percorso per affrontare la fame nervosa diventa un percorso alla scoperta di sé, è un percorso di autoconoscenza, volto a legittimare quello che si prova. Dar voce ai bisogni e alle emozioni, evitando che diventino sempre cibo.
E’ un percorso che, spesso, non tocca il tema dell’alimentazione (o lo si usa come punto di partenza per capire cosa si prova), bensì parla di sé, delle proprie emozioni, della propria rabbia, del rapporto con il dovere, della possibilità di affidarsi agli altri (e non solo il doversi occupare degli altri!). Sono tutte cose che sembrano semplici e normali, quotidiane, eppure chi soffre di fame nervosa non ha (quasi) mai fatto esperienze di questo tipo. Quindi è un percorso lento, fatto di cadute e frustrazione. Si inizia a capirsi meglio e si arriva a perdere peso (ma dopo, quando quasi la faccenda del peso diventa secondaria).
Ci sono terapie che hanno tempi più brevi?
Leggo spesso che la terapia cognitivo-comportamentale è consigliatissima per il disturbo da alimentazione incontrollata. Sono d’accordo in parte.
Lo sapete, io uso un approccio integrato, quindi uso anche la cognitivo-comportamentale. Queste tecniche sono utilissime perché aiutano a capire quali pensieri e quali emozioni siano associate al momento dell’abbuffata (o ad altri momenti salienti). In un secondo momento, però, ho idea che serva (anche) un approccio più approfondito, che vada a capire quali dinamiche stiano sotto quelle emozioni e quei pensieri e perché. E’ importante, perché, spesso sono proprio quelle dinamiche a tenere nascoste le emozioni e mantenere vivo il problema.
Quindi, ben venga qualunque approccio (che tanto gli studi ci dicono che non esista un approccio più efficace di altri), basta che il terapeuta sia flessibile e tenga conto dei bisogni del paziente.