Il mio calendario prevedeva la pubblicazione di un post intitolato “Settembre is the new Gennaio” (manco troppo originale, temo). Parlava di persone che ricominciano e si sentono molto appesantite e buttava lì qualche consiglio su come affrontare la ripresa. Sapete che non riuscivo a scriverlo? A parte il fatto che si tratta di un tema tanto, troppo, gettonato (ne abbiamo sentito parlare in tutte le salse, no?), ma mi rendo conto di non essere fatta per i consigli preconfezionati. A me tutte quelle pagine che partono con “5 consigli per…” fanno venire l’orticaria.
A volte, li leggo entusiasta e mi calo nella parte. Ci credo e sento che davvero saranno la soluzione. “Porca miseria, era così semplice, in soli cinque punti e io non ci avevo mai pensato”.
Dopo qualche giorno (e sottolineo giorno!) inizio a perdere pezzi, non riesco a star dietro ai cinque punti e mi sento inevitabilmente cretina: ma come? L’autore dell’articolo dice che basta seguire i cinque punti, la mette giù così semplice e io non ce la faccio? Di sicuro, tutti gli altri ci riescono e io no. Ma cosa c’è che non va in me?
Insomma, la questione mi crea disagio. -_-‘
Io dico no ai consigli preconfezionati!
Non sono fatta per i consigli preconfezionati. Né riceverli né darne. Danno sempre l’impressione che tutti gli altri siano felici e sereni, mentre noi poveri sfigatelli inseguiamo (con insuccesso) i famosi cinque punti.
Ogni tanto qualcuno mi chiede come facciamo a fare il nostro lavoro senza mai raccontare esperienze personali e senza dare consigli. Come possiamo aiutare le persone a superare gli attacchi di panico se non li abbiamo provati? Possiamo davvero capire la depressione se dentro quel tunnel non ci siamo stati?
Ecco, noi psicologi non raccontiamo la nostra esperienza, perché non vogliamo insegnare la vita, ma vogliamo aiutare la persona a cercare dentro la propria storia e dentro la propria cassettina degli attrezzi le risorse per trovare la propria personalissima soluzione. Siamo umani, anche noi. Talvolta siamo tristi, talvolta siamo incavolati, qualcuno di noi ha vissuto davvero gli attacchi di panico o la depressione di cui i pazienti parlano, ma la soluzione che abbiamo trovato per noi stessi non è detto vada bene per il paziente. Andiamo giù a scavare nella terra insieme a lui, lo facciamo a quattro mani e insieme capiamo cosa sia meglio. Non lo sappiamo a priori. Arriviamo in seduta armati di idee, di tecniche, di teorie, ma ognuna di esse viene assolutamente riadattata alla persona che abbiamo di fronte. Per questo non esiste il consiglio preconfezionato, il “Cosa fare se hai un attacco di panico” e il “come vincere la fame nervosa in cinque mosse” (no, nemmeno con la cognitivo-comportamentale!). Esistono delle indicazioni, ma non è detto che vadano bene per quella specifica persona.
Un post a cuore aperto
Insomma, dal mio rifiuto a scrivere un post con consigli preconfezionati (che avevo programmato io, ma sarò scema eh?!) ne è uscito un post di riflessioni libere, ma scritto con assoluto cuore aperto.
Non ho grandi lezioni da insegnare, spesso le imparo insieme ai pazienti, che si presentano con sintomi simili, ma richiedono soluzioni differenti. Ho solo capito che le “Cinque mosse per…” non solo non funzionano*, ma creano forte frustrazione in chi non riesce a metterle in pratica.
Ho anche capito che rimandavo la scrittura di questo post, perché non mi corrispondeva. So che è la stessa cosa che accade ai miei pazienti ansiosi che evitano le cose che, in qualche modo, generano una lotta interiore. Ecco, l’unica piccola lezione che ho imparato qui (e che seguo quotidianamente in studio) è: segui i tuoi bisogni, loro conoscono la via. L’ho scritto anche in home page, del resto. Tradotto, significa imparare ad ascoltare ciò che abbiamo dentro, perché è la chiave di volta per comprendere il nostro malessere, le nostre ansie, i nostri attacchi di fame nervosa. Non sempre è possibile mettere in pratica ciò che vogliamo, ma averlo a mente, ascoltarlo, è già un piccolo passo per dargli voce e non tarpargli le ali.
Ecco, l’unica cosa è questa. Per ognuno di noi, ovviamente, “ascoltare i bisogni” ha un significato diverso e gli psicologi servono proprio a questo: a capire perché quel bisogno viene nascosto in fondo, perché crea così ansia o disagio e come dargli voce, tenendo conto della realtà che ci circonda. Loro (gli psicologi) portano con sé vari strumenti e, come pazienti sarti, cerca di capire quali strumenti possa “indossare” la persona e in che modo. La persona, dal canto suo, porta la propria storia e le proprie riflessioni. E’ un lavoro a quattro mani, che si costruisce insieme, strada facendo.
Quindi, segui quei cinque punti famosi, ma solo se ti corrispondono. Altrimenti lascia perdere o seguili in parte o solo per un po’. Nessuno ha la soluzione preconfezionata in tasca, credimi
Ora basta con ‘sti pipponi.
Lo sanno tutti che li hai scritti perché ogni Settembre
ti riproponi di fare la colazione con calma, come in albergo, ma poi non ci riesci mai!
Ok, lo ammetto. Ho anche comprato tutte le cose per farmi i pancakes. Se domani ci riesco, vi avviso! Da settimana prossima torno con i post che vi raccontano ansia, stress, attacchi di panico e fame nervosa, lo prometto!
* E’ vero su questo blog ci sono dei post che portano dei titoli simili, ma solo per “presenza scenica” (e per la benedetta/maledetta indicizzazione di Google). Dentro l’articolo quei cinque punti diventano modi per aiutarti a riflettere, non sono mai rigidi o preconfezionati. Cerco, per questo, di evitare il “Fai questo e sei a posto per la vita”.
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