Ammetto da subito che il titolo del post è impreciso: scrivo papà, ma in realtà faccio riferimento alla “funziona paterna“. Spero mi perdonerete, ma “E’ colpa della funzione paterna” suonava davvero male!
Nell’articolo, per essere più precisa, parlerò di funzione materna e funzione paterna, lo prometto solennemente. Qual è la differenza? La funzione non è legata al genere/sesso del genitore, ma al ruolo che svolge. E’ possibile che la mamma (donna) svolga la funzione paterna e il padre (uomo) quella materna. Questo ci spiega perché, contrariamente a quanto si pensi, anche le famiglie omogenitoriali (due mamme o due papà) possono avere un equilibrio da questo punto di vista.
Se sul punto “famiglie omogenitoriali” state ancora storcendo il naso, ecco la rassegna scientifica che dovrebbe farvi ricredere.
A cosa serve la funzione paterna?
Sulla funzione materna, siamo tutti d’accordo, anche perché se ne parla spesso: è quel ruolo che accoglie, coccola, empatizza con il bambino. Ma la funzione paterna? Ah questa sconosciuta!
La funzione paterna è quella che aiuta il figlio a diventare autonomo e ad emanciparsi, staccandosi gradualmente dalla famiglia. In particolare, lo aiuta a crescere facendolo sentire sicuro, capace e attrezzato (lo mette in contatto con le sue risorse). Allo stesso tempo, però, gli pone dei limiti: hai delle risorse, puoi crescere e farcela da solo, ma il mondo ha le sue regole e vanno rispettate.
Io faccio sempre questo esempio: il bambino cade dalla bicicletta. La funzione materna è agita dal genitore che lo coccola e gli disinfetta la ferita con amore. La funzione paterna è quella che, una volta finito il momento delle coccole, lo spinge a tornare in sella e a riprovare.
Se i miei genitori non hanno svolto queste funzioni sono rovinato?
Parto da una domanda che mi viene posta spesso da donne che, purtroppo, hanno subito una violenza sessuale durante l’infanzia: “Sarei la stessa se non fosse capitato?“. La risposta è: “NO, non saresti la stessa“. Ogni esperienza ci cambia, influenza il nostro modo di essere di vivere le emozioni. Alcune esperienze, pur eclatanti, ci influenzano relativamente, altre sembrano quasi cambiare il corso del destino. Ma questo vale per ogni singola esperienza che facciamo (soprattutto quelle ripetute nel tempo).
Quindi, in linea di massima, certamente i nostri genitori hanno influito sul nostro modo di essere, di vedere noi stessi e gli altri. Ma prima di correre verso la disperazione, vi prego di leggere attentamente i due punti che seguono:
1. “INFLUIRE SU” E’ DIVERSO DA “ROVINARE”:
Lo stile genitoriale (il modo in cui i genitori crescono i figli e si relazionano con loro) lascia un’impronta sui bambini, ma questo NON significa che al comportamento X del genitore corrisponda un carattere Y nel bambino.
ESEMPIO: un genitore piuttosto rigido e severo, non necessariamente forma un bambino con bassa autostima. In alcuni casi, anzi, può aiutare il bambino a formare una stima di sé piuttosto elevata.
Il perché lo vediamo al punto 2.
2. NON E’ QUESTIONE DI COLPEVOLI, MA DI DINAMICHE
I bambini non vengono al mondo come tavole bianche che devono essere riempite dai genitori (lo specifico, perché tempo fa gli studiosi la pensavano così). La genetica ha una propria valenza. Questo fa sì che, facendola semplice, alcuni bambini siano più “facili” e altri più “difficili” sin dalla nascita. Il loro modo di essere si incastra con il modo di essere dei genitori e con il momento di vita in cui entrambi si trovano (il bambino nasce in un momento sereno? C’è stato un lutto in famiglia? Uno dei due genitori ha problemi importanti sul lavoro? C’è depressione post-partum in uno dei due genitori?).
La comunicazione tra bambino e genitore si costruisce proprio sulla base dei rispettivi modi di essere e del momento di vita in cui si trova la famiglia. E’ il motivo per cui due fratelli possono avere esperienze familiari e caratteri molto diversi, pur avendo gli stessi genitori.
ESEMPIO: genitore che dà da mangiare al figlio quanto consigliato dal pediatra, ma per il neonato non è abbastanza (e già questa è una differenza tra un neonato e l’altro). Alcuni neonati lo comunicano, altri no. Alcuni genitori riescono a cogliere il bisogno del bambino e altri no.
Quante varianti abbiamo già con un solo esempio?
Questo ci fa capire quanto non ci sia un colpevole, ma solo dinamiche tra genitori e figli. Entrambi hanno delle responsabilità, sebbene non sempre essere siano equamente divise. All’interno di queste dinamiche si formano i primi modelli che guidano la persona nel rapportarsi con se stesso e con il mondo esterno (come sono fatto io? Come mi vedono gli altri? Come posso relazionarmi con loro? E loro come si relazionano con me?).
3. OGNI GENITORE FA QUELLO CHE PUO’ CON LE RISORSE CHE HA
Anche il genitore, ai suo tempo, è stato un neonato con un proprio assetto genetico che ha incontrato (e si è scontrato) con certe cure genitoriali. Ogni genitore, insomma, ha la propria storia che, almeno in parte*, ci spiega la persona che è oggi.
*Il nostro modo di essere non è influenzato solo dalla storia dell’infanzia, ma anche da esperienze successive: maestri, allenatori, compagni, amici, partner possono apportare un cambiamento (positivo o negativo) a quello che siamo.
Chi fa la caccia al colpevole, dovrebbe andare indietro di decenni per trovare il capro espiatorio della situazione. Anche qui, infatti, è questione di dinamiche: alcuni genitori hanno costruito, nel corso dell’infanzia, “modelli positivi”, altri hanno “modelli negativi” che sono riusciti ad aggiustare (grazie ad esperienze successive positive e/o grazie alla resilienza), altri ancora non riescono ad aggiustare il tiro. Altri ancora hanno modelli di per sé “niente male”, ma magari incontrano un bambino che necessita di modelli differenti. Insomma, anche qui le combinazioni sono pressoché infinite.
Cosa possiamo fare noi oggi?
A un certo punto, diventa necessario fare i conti con i genitori che abbiamo avuto (sì, anche arrabbiandosi parecchio e sentendola un’ingiustizia).
Poi, per poter andare avanti, è necessario fermarsi, fare un respirone e chiedersi: Ok, alla luce delle esperienze che ho avuto, cosa posso fare io oggi per me stesso? Come posso non ripetere gli stessi errori nel rapportarmi con me stesso? Posso fare qualcosa di diverso per me?