“Perché si muore? Ma tu mamma morirai?“
Parlare della morte, insomma, non è proprio una passeggiata. Tra l’altro, nella maggior parte dei casi manco la sappiamo spiegare a noi stessi, figuriamoci parlarne a un bambino. “Perché si muore?“. C’è davvero qualcuno che sa rispondere a questa domanda?
Ma ogni bambino, prima o poi, arriva a fare questa domanda. Cerchiamo un po’ di capire come muoverci.
Cosa ci sta chiedendo?
Iniziamo a far chiarezza sul senso della domanda. In molti casi è davvero una domanda relativa alla morte, un modo per conoscere qualcosa di cui sentono parlare fin da piccolissimi (in ogni fiaba c’è un morto, dannazione!). In molti altri casi, tuttavia, quella domanda cela altre paure, in primis l’ansia da separazione, che tradotta sarebbe così: rischio di perderti mamma? E io come faccio da solo?
In altri casi, c’è di mezzo la paura di crescere. Allora dovremo essere bravi a spiegargli che lo scorrere del tempo ha sì a che fare con la morte, ma anche con cose belle, con nuove conquiste ed esperienze (“Se non crescessi, non potresti mai fare…“).
Esploriamolo sempre, così potremo rispondere sicuramente alla domanda sulla morte, ma terremo gli occhi ben aperti anche sulle altre ansie del bambino. Queste ansie possono esprimersi in altri comportamenti tipo: la paura del buio, la paura di dormire da solo, la difficoltà a staccarsi dai genitori per andare a una festa…
Altra cosa che il bambino potrebbe chiedersi è: “E’ colpa mia?” . Può suonare strano, ma è piuttosto normale, perché i bambini sono caratterizzati da una forma (sana) di egocentrismo: tutto quello che accade, positivo o negativo che sia, ha a che fare con loro. Rassicuriamolo su questo.
Che rapporto abbiamo noi con la morte?
Son dell’idea che, per poter schiarire le idee ai bambini, prima dobbiamo esserci schiariti le idee noi.
Che rapporto abbiamo con la morte? Cosa ci scatena dentro il fatto di parlarne?
Se non abbiamo elaborato bene la faccenda, rischieremo di passare al bambino due messaggi: uno verbale (quello che ci siamo preparati e che, razionalmente, abbiamo deciso di spiegargli), l’altro non verbale (dettato dalle nostre paure inconsapevoli).
No, tutti abbiamo paura della morte, chi più chi meno. Il punto è la consapevolezza, essere risolti con noi stessi (risolti=sapere quale sia il nostro reale approccio al tema della morte).
I bambini hanno un pensiero concreto
Il tema della morte, dell’infinito, del “non si torna più” sono troppo astratti. Con i bambini non possiamo parlare di cose astratte, perché hanno un pensiero ancora molto concreto. Cosa significa? Significa che hanno bisogno di un luogo fisico per poter immaginare qualcosa.
Per chi è religioso, la questione diventa abbastanza semplice:
“Significa che è andato in Paradiso”
“E dove si trova il paradiso mamma?”
“In cielo/su una stella”
Perfetto. Al bambino basta così: il cielo lo conosce, lo vede, ha una connotazione concreta e, quindi, riesce a immaginarlo.
Come spiegare la morte a un bambino se non sono religioso?
Per gli atei la questione dello spiegare la morte ai bambini si complica un pochino (nulla di impossibile). Non vogliono, giustamente, dare informazioni in cui non credono, per cui la questione del cielo e del paradiso è bandita. Che fare?
Quando i genitori mi fanno questa domanda propongo una risposta tipo:
“Dove vanno le persone quando muoiono? Nel tuo cuore. Quando le persone muoiono lasciano qualcosa dentro di noi. Nel tuo cuore rimarranno i ricordi di tutte le cose che hai fatto con quella persona. Così è un po’ come se fosse sempre con te, se lo desideri“.
In questo modo abbiamo passato un’informazione concreta (il bambino sa dove sia il cuore) e realistica (ognuno di noi conserva davvero un ricordo della persona che non c’è più, la conserviamo nel cervello, ma il cuore è metafora dei sentimenti).
NOTA: vietato negare la morte con frasi tipo: “No, ma torna” “E’ andato a lavorare lontano“. I bambini hanno bisogno di verità, pur espresse con un linguaggio che possano comprendere.
Non neghiamo le emozioni
La morte ci mette a contatto con tante emozioni difficili: la paura, l’angoscia, la tristezza, la rabbia…
Insieme all’informazione concreta possiamo passare al bambino anche le nostre emozioni. I bambini le respirano e le sentono a pelle (per la stessa ragione è importante non nascondere il tema della morte, affrontarlo apertamente, pur con le parole che loro stessi possono capire). Negare le emozioni non solo sarebbe inutile, ma passerebbe al bambino l’idea che ci sia qualcosa di sbagliato nel provarle o nell’esplicitarle. Potrebbe scegliere di tenerle per sé, costruendoci sopra infiniti e angoscianti castelli.
Il bambino percepisce il proprio dolore e quello dell’adulto, ma non ha gli strumenti per capire quali emozioni lo stiano attraversando. Siamo noi a dovergli fare da specchio nominando apertamente le emozioni che stiamo provando e quelle che stanno provando loro: “Sono arrabbiato, sono molto triste, sono spaventato“.
Questo vale anche per noi grandi: solo se riconosciamo le nostre emozioni possiamo elaborarle.
Ma quindi tu morirai mamma?
E’ inutile, i bambini non mollano la presa. Toccando di nascosto ferro e brandendo cornetti (!) proviamo ad armarci di coraggio e a seguire qualche piccolo passo per spiegare la morte ai bambini:
- Inevitabilità della morte (“Tutti prima o poi moriranno. E’ fatta così la vita“)
- Rassicurazione. Non possiamo garantire che non moriremo, ma possiamo promettere che faremo di tutto perché questo non accada presto (“Ti prometto, che mi impegnerò per non morire per un bel po’“).
- Condivisione delle emozioni senza negarle (la forma in cui le mostriamo, però, deve essere adattata al bambino)
Lo so che a volte sembrano angosciatissimi dalla morte. Io ho idea che questo abbia del positivo: in primo luogo è normale che a partire dai 4 anni i bambini affrontino questo tema; in secondo luogo, i bambini si permettono di mostrare le angosce che noi gli concediamo di mostrare. Si mostrano angosciati perché sanno di avere davanti qualcuno di solido, pronto ad accogliere quelle angosce e a contenerle.